Parlare di femminismo in inglese di Nadia Boaretto

Anni ‘70 del Novecento, insegnante di inglese alla scuola media Anna Frank di Cinisello Balsamo. Erano gli anni dell’autocoscienza, dell’esempio di Don Milani a Barbiana, delle manifestazioni serali al grido di “Tremate tremate le streghe son tornate”, degli zoccoli variopinti, delle gonnellone folk. Si respirava il bisogno di libertà, la ricerca di un io che nascesse ex novo.

Shulamith Firestone dichiarava “The personal is political” e aveva pubblicato The Dialectics of Sex.

Kate Millett in The Politics of Sex sosteneva che “l’oppressione sessuale è dominio politico… Il patriarcato, riformato o non riformato, è sempre patriarcato”.

Betty Friedan nel saggio The Feminine Mystique indagava nel malessere delle donne americane soggiogate dal mito di casa, marito, figli, nella loro profonda insoddisfazione, nei problemi di identità, nel senso di vuoto.

Germaine Greer in The Female Eunuch attraverso fonti letterarie e storiche documentava quanto le donne fossero state “castrate” e necessitassero di un passo radicale verso la liberazione sessuale e individuale. Liberazione non nel mero senso di uguaglianza con gli uomini, che rischiava di diventare assimilazione alla vita di uomini non liberi. Fondamentale era ed è riappropriarsi del proprio corpo, dire “il corpo è mio e me lo gestisco io”.

Erano gli anni delle Black Panthers negli Stati Uniti, del giro di boa verso l’islamismo con il concetto che la mascolinità nera fosse qualcosa di separato dalla femminilità nera, una affermazione di virilità da parte degli attivisti a cui si opponeva il femminismo di Angela Davis. La mia tesi di laurea era dedicata all’autore afroamericano James Baldwin e grande era l’interesse per Richard Wright, per Martin Luther King. Ma anche per le genti native americane: Bury My Heart at Wounded Knee. Quante letture, quante scoperte! Simone de Beauvoir, e poi Teresa Batista stanca di guerra, gli Inti Illimani, i poemi di Gilgamesh… In inglese era facile cantare The Age of Aquarius, sentirsi in una Fifth Dimension e invocare Let the Sunshine in!

Che cosa avrò trasmesso di tutto questo alle mie classi di studenti di Cinisello? Un seme, un desiderio di realizzazione, magari attraverso una piccola rivolta al conformismo. Una collega mi disse che quand’ero in aula si sentiva spesso cantare. Bene.

We are the power in everyone
We are the dance of the moon and the sun
We are the hope that will never hide
We are the turning of the tide

WOMAN LIFE FREEDOM

Nadia Boaretto