QUALE EDUCAZIONE SENTIMENTALE A SCUOLA?

Il femminicidio di Giulia Cecchettin, tra i tanti, troppi, femminicidi che caratterizzano la nostra società, è quello che ha maggiormente colpito le coscienze di tutti e di tutte, coinvolgendo in un complesso vortice di emozioni anche studenti e studentesse di diversi ordini di scuola.

Pensiamo che questo delitto efferato possa rappresentare uno spartiacque, avvalorate in ciò dal dibattito che si è aperto, dalle manifestazioni pubbliche di donne e uomini che con rabbia e sdegno chiedono che si ponga fine a ciò che può essere definita una mattanza. 

Donne e uomini che, superando il rituale minuto di silenzio, hanno deciso di fare rumore.

L’abbiamo pensato anche perché il padre di Giulia ha aperto con coraggio e dignità un varco in quell’universo maschile finora troppo silente di fronte a ogni femminicidio. E le volgari e scomposte reazioni alle sue parole, da parte di odiatori seriali, leoni da tastiera vili e schiavi del pensiero fascistoide dominante, confermano che la strada imboccata da Gino Cecchettin è quella giusta ed è l’unica possibile.

Il susseguirsi di appelli, conseguenza del tragico evento, all’introduzione dell’educazione sentimentale a scuola, le pubbliche dichiarazioni del ministro Valditara, la sua proposta di introdurre percorsi di educazione sentimentale, la scelta iniziale di tre donne: Anna Paola Concia, una suora e una seguace di Adinolfi per un tentativo, piuttosto goffo, di costruire una proposta condivisa da diverse anime politiche, hanno ancora una volta acceso i riflettori sulla scuola. 

Il tentativo di Valditara tuttavia è stato travolto dalle polemiche per il coinvolgimento di Concia, che lo hanno fatto fallire prima ancora che il lavoro delle garanti iniziasse.

Resta dunque da capire cosa si può fare dal punto di vista educativo per porre un argine al fenomeno. 

Per fare ciò è necessario comprendere che la scuola da sola non può risolvere un problema che richiede un cambiamento culturale importante e che affonda le radici in una cultura patriarcale che pervade da sempre il nostro paese. Così come non è sufficiente, anche se importante, necessario, proporre letture antologiche e testi di letteratura per garantire lo sviluppo di sentimenti, con i quali non si nasce e che non possono prescindere dalla costruzione di empatia. 

Non possiamo, a tal proposito, che salutare con gioia la recente pubblicazione di un’antologia di scrittrici femminili da utilizzare a scuola.

Ma non basta!

Occorre pensare a percorsi mirati che non possono ridursi a 30 ore, magari in orario extrascolastico, o a materia curricolare da valutare con voti, immergendo anche questo nella palude del delirio ipervalutativo che caratterizza troppo spesso la nostra scuola.

Occorre pensare a questi percorsi nell’ambito di una riprogettazione globale delle didattiche disciplinari e di una ridefinizione dell’alleanza scuola famiglie, altrimenti rimarranno azioni avulse da tutto il resto.

Occorre compiere tutti gli sforzi possibili, di pensiero ed economici, affinché la scuola si apra alla comunità, responsabilizzando i consigli di istituto verso questo indirizzo, non illudendosi che l’acquisto di alcuni schermi touch, spesso con una memoria inferiore a quella di un buon smartphone, possa risolvere i problemi didattici ed educativi e il grave problema della dispersione scolastica implicita, che ancora non trova soluzioni efficaci se non in sporadiche realtà illuminate e coraggiose, dove la sperimentazione di pratiche apparentemente innovative, ma che già illuminate persone proponevano decenni fa (Montessori, Lombardi Radice, Castelnuovo, don Milani per citarne alcune in maniera non esaustiva e limitandomi al nostro paese), mostra evidenti successi.

La scuola non può rimanere un’isola a sé stante, che pecca peraltro spesso di autoreferenzialità acritica. 

La scuola deve abbattere i suoi muri e creare occasioni di partecipazione ai processi educativi con enti e soggetti che a vario titolo operano in campo educativo nel contesto locale e con le famiglie, le quali mostrano enorme fragilità nel gestire un ruolo normativo compromesso dalle mutate condizioni e caratteristiche della società e dalla trasformazione della stessa famiglia come costruzione sociale. 

Il processo educativo deve diventare azione collettiva, trasformativa della stessa comunità locale, che deve assumersi la responsabilità sociale della cura e dell’educazione delle giovani generazioni senza che la scuola abbandoni l’impegno nella promozione e diffusione di cultura.

Solo compiendo questo spostamento della cornice di riferimento educativa sarà possibile rendere efficaci percorsi di educazione che noi proponiamo di non chiamare sentimentale, ma più correttamente educazione alla parità tra uomini e donne. Perché il vero nocciolo della questione è proprio nell’incompiutezza della nostra democrazia, che non ha ancora portato donne e uomini ad avere pari dignità e pari opportunità in ogni campo. 

Nell’ambito di tali percorsi, da avviare sin dalla scuola dell’infanzia, va prevista quell’educazione sessuale che si vorrebbe relegare alle sole famiglie, ma che frequentemente è affidata alla rete, all’accesso libero a siti porno, nei quali è chiara l’oggettivazione del corpo femminile e la asimmetria dei ruoli e di potere tra uomo, spesso uomini, e donna.

La formazione di docenti si rende necessaria, dovrebbe essere resa obbligatoria affinché ogni docente lavori, attingendo all’epistemologia della propria disciplina, orientando il proprio insegnamento verso l’educazione alla parità tra uomo e donna. Le opportunità, diverse e molteplici, sono offerte da ogni disciplina.

Ma anche questo non basta! 

La formazione di genitori è indispensabile e, se nel caso della formazione di docenti, esperte/i di didattica delle discipline possono intervenire nell’organizzazione dei corsi, nel caso dei genitori bisognerà individuare soggetti idonei: associazioni LAICHE che lavorano a supporto delle famiglie in difficoltà e delle donne che subiscono violenze domestiche, centri antiviolenza LAICI, che hanno al loro interno le figure necessarie (legali, psicologi/psicologhe,…).

Le stesse figure dovrebbero intervenire sulle classi, coinvolgendo pedagogiste e pedagogisti con esperienza nei diversi ordini scolastici, affinché il quadro di riferimento sia completo e coinvolga tutti i soggetti educanti.

L’educazione sessuale non può risolversi nell’approfondimento delle dinamiche dei corpi o nella prevenzione di malattie sessualmente trasmesse. Tutto ciò è necessario, ma va collocato in percorsi che mirino alla valorizzazione della persona, del suo corpo, dei sui desideri o non desideri nell’ambito di una relazione di coppia, di qualunque tipologia di coppia.

In conclusione, abbiamo bisogno di un progetto ad ampio raggio, che non si può esaurire, evidentemente, con una proposta di alcune ore, raffazzonata sotto l’onda dell’emozione suscitata da una morte che non deve rimanere solo un numero tra i troppi, nelle statistiche dei femminicidi, ma deve diventare opportunità per affrontare finalmente il problema in modo radicale. 

È questo il modo migliore per onorare la memoria di Giulia e di tutte le donne uccise perché tali, perché autodeterminate.