Elezioni 25 settembre: la democrazia paritaria alla prova con il Rosatellum

Il 25 settembre andremo a votare per rinnovare il nostro Parlamento e a seguito dell’esito positivo del Referendum confermativo della modifica costituzionale, eleggeremo un numero ridotto, di circa un terzo, di parlamentari: da 630 a 400 alla Camera e da 315 a 200 al Senato.

La legge elettorale, detta Rosatellum bis, continua a prevedere che sia nei collegi uninominali che in quelli plurinominali nessuno dei due generi possa essere rappresentato in misura superiore al 60%.

Questa norma ancora una volta non rispetta la Costituzione, visti gli articoli 3 e 51, infatti stabilire che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge (…) e che “Tutti I cittadini dell’uno dell’altro sesso possono accedere agli uffici pubblici e alle cariche elettive in condizioni di eguaglianza (…)”, significa che la legge elettorale dovrebbe prevedere la parità e cioè i due generi dovrebbero essere rappresentati al 50% sia nei collegi plurinominali, come pure in quelli uninominali.

Comunque, pur essendo l’attuale Parlamento eletto con questo stesso sistema elettorale,

la presenza femminile non è del 40%, infatti al Senato è del 35,11% e alla Camera del 36,06%.

Tale differenza è dovuta all’utilizzo delle pluricandidature sul proporzionale, che hanno favorito gli uomini, infatti sono consentite le pluricandidature fino a un massimo di 5 nei listini proporzionali. Un candidato del collegio uninominale può anche candidarsi, sempre per un massimo di 5, nel proporzionale.

Inoltre, la possibilità di scelta dell’elettore è limitata visto che i listini del proporzionale sono bloccati e non si possono quindi esprimere le preferenze per un candidato rispetto ad un altro, giacché sono i partiti a decidere la sequenza di elezione.

Una certa scelta rimane nei collegi uninominali, certo che non si può chiedere alle elettrici di scegliere una donna, se la stessa rappresenta idee e programmi che non si condividono.

Altre previsioni riguardanti le modalità di elezione sono rappresentate:

-da una scheda unica nella quale il nome del candidato nel collegio è affiancato dai simboli dei partiti che lo sostengono e non è consentito il voto disgiunto;

– un terzo dei seggi tra Camera e Senato verrà eletto in collegi uninominali, quindi tramite un sistema maggioritario, e i restanti due terzi divisi tra i partiti rispettando fedelmente i risultati percentuali che hanno ottenuto alle elezioni, quindi tramite un sistema definito proporzionale, fanno eccezione la Valle D’Aosta e il Trentino Alto-Adige che non eleggono senatori nella parte proporzionale, ma solo con il sistema maggioritario;

-una soglia di sbarramento del 3% per le singole liste e del 10% per le coalizioni a livello nazionale sia alla Camera che al Senato;

-la possibilità di coalizzarsi ed è sufficiente una “dichiarazione di apparentamento”, senza  programmi o candidati comuni. I voti delle liste collegate che non raggiungono il 3 per cento, ma superano l’1, vanno assegnati alla coalizione;

-i residenti in Italia possono candidarsi anche all’estero. Nella stessa norma si specifica che non possono essere candidati gli italiani residenti all’estero che hanno ricoperto ruoli politici nel paese in cui vivono nei cinque anni precedenti (questa è una novità assoluta e pare un po’ singolare).

Dunque, questa legge riduce considerevolmente la possibilità per l’elettrice di scegliere una candidata donna.

Però la domanda che va posta è la seguente: è sufficiente votare donna per perseguire l’obiettivo della parità?

No, perché è necessario che colei che siede in Parlamento si senta investita dalla responsabilità verso le altre donne e agisca per eliminare le disuguaglianze di genere.

L’Italia ha un insieme di leggi finalizzate alla parità, ma questa parità dichiarata è subdola, perché è solo formale e non sostanziale.

É chiaro che serve una presenza femminile significativa nei luoghi in cui si assumono le decisioni per le comunità, ma se poi tale presenza non fa registrare l’eliminazione o quantomeno la riduzione delle disuguaglianze di genere, a che serve esserci se poi si perseguono le stesse politiche maschili?

Fino ad oggi ci siamo  focalizzate su leggi e provvedimenti che promuovessero la presenza femminile nelle assemblee elettive, negli organi esecutivi, nei cda di aziende quotate in borsa o nelle società pubbliche o partecipate, ma non vi è stata l’analisi qualitativa di tali presenze, quali azioni sono state messe in atto per superare i vari gap esistenti nelle nostre comunità?

Questo é il tema! Il voto utile per eliminare le disuguaglianze di genere è quello espresso verso chi sente la responsabilità storica nei confronti delle donne e verso l’intera società.