Utopia o realtà? di Pina Mandolfo

Il progetto politico del Femminismo fu quello di rompere il silenzio delle donne e rivendicare la cittadinanza. Lo abbiamo fatto con riflessioni individuali e di gruppo, abbiamo messo in discussione codici atavici poteri e saperi costituiti; lo abbiamo fatto con girotondi di piazza e la spettacolarità del gesto. Ci sentivamo forti perché non eravamo più sole ma parte di una massa in movimento. Abbiamo “ingenuamente” pensato che il resto sarebbe venuto da sé. Avevamo la sensazione che, facendoci corpo collettivo, avremmo potuto spezzare l'oltraggio simbolico e materiale che ci ha sempre colpite. Non è accaduto. Prendiamone atto coraggiosamente. Noi donne consapevoli, a partire dal glorioso passato degli anni ’70, abbiamo una lunga esperienza di scritture, elaborazioni personali e collettive. Abbiamo fatto istanze e lavorato alacremente in campo culturale e politico per la cura del mondo così da poter starci dentro come soggetti liberi. Ma se facciamo un bilancio possiamo affermare, senza dubbio, che i risultati del nostro impegno, la fatica del lungo lavoro sono molto al di sotto delle nostre aspettative. Oggi viviamo il disagio che ci vede ancora discriminate.

Per descrivere il nostro disagio di oggi voglio ricorrere all’incipit di uno dei tanti libri preziosi portati in Italia da La Tartaruga, Il demone amante di Robin Morgan.

“Guardala attentamente. Attraversa una strada cittadina, destreggiandosi tra cartella da lavoro e borsa della spesa. Oppure percorre una strada polverosa, tenendo una cesta in bilico sul capo. O si affretta verso l’automobile parcheggiata, tirandosi dietro un bambino. O torna dai campi con un neonato legato sulla schiena. All’improvviso un rumore di passi alle sue spalle. Pesanti, rapidi. Passi maschili. Lei lo sa subito, come sa che non deve guardarsi attorno. Il cuore le batte più in fretta. Accelera. Ha paura. Potrebbe essere uno stupratore. Potrebbe essere un soldato, un molestatore, un rapinatore, un assassino. Potrebbe essere niente di tutto questo. Potrebbe essere un uomo che ha fretta. Potrebbe essere un uomo che va al suo passo normale. Ma lei ha paura di lui. Ha paura di lui perché è un uomo. Ha ragione di avere paura.
La sua reazione è diversa – in una via cittadina, su una strada sterrata, in un parcheggio o nei campi – se se alle sue spalle sente un passo di donna. È del passo dell’uomo che ha paura. Questo momento la accomuna con ogni altro essere umano di sesso femminile. È la democratizzazione della paura”.

Questa scena così reale, che ci racconta straordinariamente qualcosa che tutte abbiamo vissuto, è paradigma simbolico di una supremazia, di un potere di un sesso su un altro. Un sesso che da millenni ha trasformato un dato di natura – la forza fisica – in un dato di cultura. Quella cultura che significa potere, primato, egemonia. Diverso sarebbe, come scrive Robin Morgan, se quel passo fosse il passo di una donna.
Sarebbe diverso perché non farebbe paura, perché non è il passo della violenza, del potere, della supremazia fisica, morale e culturale. Non servono più lunghe narrazioni del nostro malessere, perché ci è ben noto. Così come ci è nota la misoginia, più o meno manifesta di chi, fin qui, si è sentito legittimato alla pratica del potere, dalla politica ad ogni forma di istituzione sociale e culturale. Siamo venute alla determinazione che per mettere al mondo la parola delle donne e l’autorità femminile non siano più di nessuna utilità gli appelli, le manifestazioni di piazza, le lettere ai partiti e il grande lavoro carsico che molte di noi fanno e hanno fatto negli anni.

È  tempo di dire basta. Nella strada verso un reale empowerment, alcune di noi hanno dato vita alla Associazione Governo di lei a cui hanno già aderito gruppi, associazioni, singole donne. Definirei il progetto ambizioso ma indifferibile. In questa deriva terribile in cui il sistema patriarcale e misogino ha ridotto il mondo, dopo tante delusioni e promesse mancate, pensiamo che l'unica strada da percorrere sia la costruzione di soggetti politici femminili femministi. Chiamiamolo pure partito se vogliamo intenderlo come parte legittima del governo del mondo. Perché noi non siamo una minoranza oppressa, come parlando delle donne viene fatto passare, una minoranza che si organizza su questioni valide ma pur sempre minori, noi siamo la metà del genere umano che afferma che ogni problema la riguarda e deve avere la parola su tutto.

Non guardiamo il nostro progetto come un sogno o un’utopia solo perché l’impianto millenario socio-culturale non ci ha previste al potere.  È ormai il tempo della consapevolezza che la nostra mancata cittadinanza in economia, lavoro, diritti, scuola e salute, oltre al malessere per l’incuria del mondo, resteranno inascoltati da un sistema che ci impedisce l’azione. Un impianto di potere maschile che ci esclude dai ruoli attivi e negli equilibri di potere o che ci offre un emancipazionismo risarcitorio. Allora molte di noi si sono dette che sia tempo di perseguire l’impensato che dia il segno di una forza non più carsica. Potremo così incidere anche sul senso comune di un paese al collasso. Lo sorprenderemo dapprima ostile e perplesso e poi complice. Non fosse altro che per la particolarità e l’eccezionalità del gesto. Pian piano potremo affacciarci in un mondo che è tutto da rifare e approfittare della debolezza della politica e della crisi della qualità della rappresentanza democratica. Una cosa è certa, e lo sappiamo bene, nulla ci
verrà dato se ancora richiesto dai modi e dai tempi da noi fin qui agiti.

Solo l’esercizio del potere nel senso del “saper e poter fare” è la soluzione possibile.

Dobbiamo unirci per discutere sulla possibilità concreta di essere in qualche modo presenti nella politica in partecipazione diretta e/o a sostegno delle candidate ma non quelle usate strumentalmente per attirare voti.

Vi invitiamo a discutere su quattro ipotesi possibili: 1) Lista civica femminista, 2) Gruppo femminista “indipendente” in una lista civica, 3) Gruppo femminista “indipendente” in una lista di partito, 4) Gruppo femminista in una lista di partito.

Sarà difficile perché ci affacciamo in un mondo in cui tutto dovrà essere emendato. E per il nostro scopo dobbiamo essere in tante. Dobbiamo essere ancora una volta una forza in movimento. Ovviamente non pensiamo qui a quelle donne indottrinate dalla politica maschile e soddisfatte di essere state ospitate nell’ovile del patriarcato con una posizione chiaramente ancillare.

Noi donne consapevoli lanciamo una sfida perché vogliamo un mondo in cui le donne non siano più offese, discriminate, inascoltate ma piuttosto rispettate e valorizzate. Nessuno lo farà per noi, ormai lo sappiamo. E questo potrà accadere quando quello che abbiamo chiamato Governo di lei, a piccoli passi, metterà in atto la sua rivoluzione culturale e sociale intaccando lentamente fette delle forze di governo.

Io credo che questo potrebbe accadere solo quando tutti e tutte vedremo scorrere le immagini di tante donne sui banchi della politica, un numero di donne pari se non oltre alla guida delle istituzioni, delle multinazionali, della finanza, dei partiti, quando i nostri figli e le nostre figlie porteranno anche il cognome della madre, quando le vie delle nostre città porteranno i nome di tante donne taciute dalla storia, dalla letteratura, dalla scienza e dalle arti. E ancora quando tutti e tutte nomineranno le donne nei discorsi privati, istituzionali, e didattici. Allora ci sentiremo fieri di aver creato una vera democrazia. Solo allora avremo la coscienza che possiamo prendere in mano il mondo e starci dentro come soggetti liberi.

Condivideremo in ugual misura questa libertà con le nostre madri, sorelle, zie, amiche e mogli.
Allora nessun uomo oserà discriminare, maltrattare o uccidere una donna perché sarà posto dinnanzi alla sua autorevolezza, alla sua autorità e al suo potere, potere diciamolo pure inteso nella migliore accezione della parola. Allora ci sentiremo fiere di aver creato una vera democrazia. Il cammino è accidentato e lento ma possibile. Abbiamo deciso.

Perché non cominciare dalle prossime scadenze elettorali?

a cura di Pina Mandolfo