Sindacato? Si grazie

 

 

Io femminista voglio sindacati antagonisti e conflittuali, con organismi dirigenti al 50% e che dicano segretario e segretaria, e voglio che la rappresentanza (sindacale e sociale), si esprima in modo efficace, si eserciti nel sistema di pesi e contrappesi che è il cuore della democrazia rappresentativa.

 

Lo sciopero indetto da CGIL e UIL per il 16 dicembre scorso ha destato echi per me fastidiosi.

Lo sciopero generale non è una forma frequente di protesta, non è a cuor leggero che si chiede a lavoratori e lavoratrici di rinunciare ad un giorno di paga non per uno specifico diritto contrattuale ma per essere e dichiarare di essere un soggetto politico generale, per affermare il diritto dei lavoratori e delle lavoratrici di “dire la loro”, cioè porsi come interlocutori del Governo in caso di scelte politiche determinanti per la vita e il futuro del Paese.

La proclamazione di questo sciopero generale avrebbe dovuto scuotere dalle fondamenta il Governo, avrebbe dovuto muovere una profonda riflessione nei partiti di sinistra e un allarme in quelli di centro, invece niente; incapaci di guardare ai bisogni delle persone, incapaci di comprendere che è necessario un altro modo di produrre, di relazionarsi con il resto del mondo, di distribuire la ricchezza, che occorre cambiare il sistema maschile, patriarcale, capitalista, si sono aggrappati all’unica strada che credono di avere di fronte, la strada segnata dal liberismo e dal neoliberismo che ha il suo profeta in Mario Draghi, nuovo salvatore della Patria e solito uomo della provvidenza.

Basterebbero queste considerazioni a spiegare il mio “fastidio”? Sì, ma c’è di più.

Il segretario generale della CISL (sindacato che non ha proclamato lo sciopero), Luigi Sbarra, ha dichiarato in modo fermo e inoppugnabile che “… si confrontano ormai da tempo due modelli di sindacato quasi alternativi: uno di tipo novecentesco, tutto concentrato sul tema dell’antagonismo, del massimalismo, del conflitto e l’altro, invece, che intende esercitare la sua funzione di rappresentanza mettendo in priorità l’autonomia, la responsabilità, il pragmatismo, la ricerca testarda di aprire spazi di confronto e di interlocuzione con interlocutori pubblici e privati.”

Ora io sono e mi definisco una femminista, in quanto tale il mio “modello” è il femminismo “novecentesco”, per di più “conflittuale” e “antagonista”, anticapitalista ed ecologista;  rivoluzione presente e viva in ogni parte del mondo, presenza profetica e unica vera speranza per il futuro del mondo.

Il mio femminismo, mantenendo salde le sue radici, si è felicemente contaminato, ha accolto le riflessioni, i sogni, le vite di altre, altri e altru*.

Il mio femminismo respira l’aria che il mondo respira, e guarda al futuro con occhi incantati.

Il mio femminismo vuole esercitare il potere, non vuole più “solo” spazi di dialogo in cui l’interlocutore (il maschile è qui usato in quanto genere e non come neutro inclusivo), ascolta con condiscendenza e  decide ed elargisce “concessioni” più o meno sodisfacenti.

Io femminista voglio sindacati antagonisti e conflittuali, con organismi dirigenti al 50% e che dicano segretario e segretaria, e voglio che la rappresentanza (sindacale e sociale), si esprima in modo efficace, si eserciti nel sistema di pesi e contrappesi che è il cuore della democrazia rappresentativa.

18 dicembre 2021.

Autore

  • È stata dirigente provinciale e funzionaria del PCI di Caltanissetta; componente della segreteria regionale e della direzione nazionale del Movimento federativo democratico – Tribunale per i diritti del malato. Ha svolto attività di volontariato con le detenute e con i Club degli alcolisti in trattamento. Ormai in pensione ha lavorato presso la Biblioteca comunale di Caltanissetta. Ha fondato con altre donne siciliane Il femminile è politico