È difficile parlare di donne

Ho tenuto queste mie considerazioni nel cassetto

per alcuni giorni, ma adesso che anche Giuliano Amato,

noto esperto di politiche di genere, parla di cooptazione

e collo di bottiglia, ritengo colma la misura.

 

 

 

Tra arroganza e sarcasmo Luca Ricolfi su la Repubblica del 22 gennaio ha avuto la magnanimità di spiegare a coloro che fanno circolare “periodicamente, appelli più o meno argomentati (di solito pessimamente argomentati)” per correggere la stortura che consiste nella “sotto-rappresentazione” (sic!) delle donne, che la “rappresentazione” delle donne in realtà negli ultimi tre anni ha subito una forte accelerazione ma solo a “destra”, perché il vero problema non è che le donne sono tenute lontane dai centri decisionali e di potere “dalla sopravvivenza del patriarcato”, che definisce come  “una pseudo-spiegazione, che si limita a dare un nome a un fenomeno di cui non è in grado di ricostruire i meccanismi”, bensì dal sistema della cooptazione vigente nei partiti di sinistra, mentre in quelli di destra “c’è anche un po’ di meritocrazia”. Ricolfi sostiene la sua tesi con numerosi esempi che non citerò perché chi vuole può leggersi l’articolo.

Il giorno seguente, sempre su la Repubblica, Elena Stancanelli risponde a Ricolfi (prendendolo sul serio) con un altrettanto lungo elenco di donne che nel mondo ce l’hanno fatta e aggiunge che “In Italia, alcuni anni fa quando ancora il cosiddetto patriarcato(?) era in auge e le cosiddette paladine(?) venivano messe a tacere, si diceva che per farcela in politica le donne dovevano essere belle e darla via con disinvoltura. Erano i beati anni del berlusconismo in cui era il capo a decidere sulla base del proprio esclusivo gusto, anche estetico. Era la destra, senza alcun dubbio, ed era, ancora più evidentemente, un meccanismo di cooptazione che niente aveva a che fare con la meritocrazia”. Stancanelli quindi si pone sullo stesso registro interpretativo di Ricolfi, cooptazione/meritocrazia anche se ne capovolge i poli, concludendo, dopo essere passata per la doppia fatica della doppia militanza partito-femminismo, che sono i partiti progressisti ad avere un problema non con le donne ma con il femminismo.

Sul botta e risposta Ricolfi-Stancanelli interviene il 24 gennaio, sempre su la Repubblica, Francesca Izzo. Nella sua lettera Izzo chiede “E quale evoluzione ha avuto il “femminismo”, con i suoi rapporti con i partiti progressisti, se un movimento nato per dare forza e libertà alle donne in realtà risulta d’ostacolo per un verso all’ascesa di alcune ai vertici e per l’altro non aiuta a cambiare una condizione femminile di permanente difficoltà? Stancanelli sostiene che la responsabilità ricade sulle forze progressiste che hanno un problema con il femminismo. Ma di quale femminismo si parla? Non si può certo sostenere che una narrazione femminista non sia stata accolta e metabolizzata dai partiti progressisti. Allora credo che siamo di fronte a una doppia finzione che blocca le donne progressiste, condannandole a un ruolo subalterno: la finzione, di cui sono contemporaneamente artefici e vittime, di essere portatrici di una politica “differente” e di “rispondere” alle donne del “movimento”. Dico finzione nel senso del retaggio di una stagione del femminismo che da decenni non ha più rispondenza con la realtà. La conseguenza è che per sopravvivere nell’arena pubblica le donne della sinistra praticano un doppio discorso, uno della vulgata femminista attuale (quale che ne sia il rapporto con le istanze originarie del femminismo) e l’altro, sostanziale, dell’affiliazione, come i loro compagni maschi, alle correnti e ai loro capi, senza riuscire a sviluppare una autonoma leadership.” Izzo quindi nella risposta alla sua domanda, attribuisce la ridotta presenza e la scarsa rilevanza delle donne nei partiti di sinistra a loro stesse, vittime e carnefici, di una “finzione” che consisterebbe nell’immaginare di essere le eredi (depositarie, rappresentanti) della stagione del femminismo degli anni ’70 che non esiste più in quelle forme organizzate, ragion per cui sono costrette ad una ambivalenza conflittuale tra la “vulgata” femminista attuale e l’adesione al paradigma patriarcale.

Alla fine dell’illustre carteggio, quello che mi lascia più sconcertata è la frase conclusiva della lettera di Izzo che così recita “Le donne della destra che non hanno legato la loro azione politica a vincoli, veri o presunti, con le altre donne, si muovono in diretta competizione con gli uomini che le vanno riconoscendo come loro simili. Credo che quest’ultimo risultato cioè la fine del pregiudizio antifemminile a destra sia un’importante conquista femminista.”

Alcune modeste considerazioni finali.

La prima, Ricolfi nel suo insopprimibile desiderio di avvalorare la tesi che le donne di destra sono quelle che ce la fanno, ci mette pure Simone Veil, dimostrando di non conoscere le questioni di cui parla e altro non dico.

La seconda, Stancanelli non ci dice cosa ne sia stato del patriarcato, così detto e non, da alcuni anni fa ad oggi, e questo ingenera un dubbio e cioè se ritiene ormai sconfitto il patriarcato o ritiene superato quello “cosiddetto”, qualunque cosa questo voglia dire.

La terza, Izzo, ancora una volta, coglie l’occasione per contrapporre il Femminismo (lei lo scrive con la lettera minuscola ma si legge con la lettera maiuscola), alla “vulgata femminista”, cioè alla versione semplificata e popolare del femminismo “attuale” (questa volta scritto con la minuscola e da leggere sempre con la minuscola).

La quarta, Izzo vive come un’importante conquista femminista l’assimilazione delle donne di destra ai comportamenti e alle relazioni “maschili” annullando in un colpo tutte le teorie sulla differenza.

La quinta, nessuno accenna al potere politico, economico e simbolico ancora saldamente in mano agli uomini, mostrando di non riconoscere le principali questioni all’ordine del giorno nel dibattito sui destini del mondo e del nostro piccolo, povero Paese.

 

Forse sono io che non capisco, ma intanto sono presa dallo sconforto.

 

6 febbraio 2022

Autore

  • È stata dirigente provinciale e funzionaria del PCI di Caltanissetta; componente della segreteria regionale e della direzione nazionale del Movimento federativo democratico – Tribunale per i diritti del malato. Ha svolto attività di volontariato con le detenute e con i Club degli alcolisti in trattamento. Ormai in pensione ha lavorato presso la Biblioteca comunale di Caltanissetta. Ha fondato con altre donne siciliane Il femminile è politico