Carla Lonzi, il congedo dal patriarcato – fare differenza

Critica d’arte, sovvertitrice del ruolo dell’opera e dell’artista. Militante e teorica, pioniera della pratica dell’autocoscienza e autrice di testi tutt’ora imprescindibili come «Sputiamo su Hegel». Il volto poliedrico di Carla Lonzi, figura inaugurale del femminismo italiano, al centro di un convegno.

Nella primavera del 1970 a Roma si ritrovano per giorni e giorni tre donne, Carla Accardi, Elvira Banotti e Carla Lonzi, per il bisogno di esprimere l’emozione e lo scatto di coscienza provocati in loro dalla ripresa del femminismo nel mondo. È Lonzi a scrivere il testo, scandendo in frasi concise e folgoranti quelli che saranno i principali temi del neofemminismo. Con la pubblicazione nel luglio del Manifesto di Rivolta Femminile si formano i primi gruppi di Rivolta, prima a Roma e Milano poi in molte altre città, attorno alla pratica, lì enunciata, del separatismo e dell’autocoscienza. Nell’estate dello stesso anno Lonzi scrive Sputiamo su Hegel, titolo irriverente di congedo dalla cultura patriarcale. Un invito rivolto innanzitutto a quelle femministe che, per la propria liberazione, si affidano più alle teorie e forme di lotta degli uomini che non alla riflessione su di sé.
Per Lonzi questo congedo è innanzitutto un cambiamento di vita netto e radicale. Segnato soprattutto dal rifiuto dell’emancipazione. Interrompe la professione di critica e per tutta la vita dedicherà se stessa alla pratica femminista. Alla scrittura, alla casa editrice di Rivolta, alle riunioni dei gruppi di autocoscienza, ai rapporti con le tante donne che, soprattutto attraverso gli scritti, entrano in contatto con Rivolta Femminile. Sul piano privato questo comporta la dipendenza economica da Pietro Consagra, una scelta tutt’altro che indolore, oggetto di critiche e riserve, poco o nulla compresa nel femminismo. Ma alla quale rimane sempre aderente, in modo convinto.

Promesse mancate

Nel 1970 Carla Lonzi è una donna adulta, con esperienze importanti alle spalle. Nata a Firenze il 6 marzo 1931, primogenita di due sorelle e due fratelli, si è laureata nel 1956, con una tesi in storia dell’arte, Rapporti tra la scena e le arti figurative dalla fine dell’Ottocento, discussa con Roberto Longhi. Un lavoro edito postumo da Olschki, nel 1996, avendo lei rifiutato la proposta di Longhi di pubblicarla e dare così inizio alla professione accademica. Nel 1959 ha un figlio, Battista, con Mario Lena, chimico industriale e sindacalista. Vivono in Toscana, Carla scrive poesie e collabora a riviste e a programmi Rai sull’arte. Ma è dopo l’incontro con Pinot Gallizio, e poi con Carla Accardi e Pietro Consagra, che il suo lavoro si concentra sugli artisti contemporanei. Cura diverse mostre, personali e collettive, dei più importanti esponenti delle avanguardie di quegli anni: dal gruppo «Forma1» a Paolini, Pascali, Kounellis, Nigro, Fontana. Nel 1962 cura due importanti mostre a Torino, la prima al Valentino, «L’incontro di Torino», con pittori degli Usa, dell’Europa e del Giappone, la seconda alla galleria Notizie, «Artisti americani: Kline, De Kooning, Nevelson Tobey, Hultberg, Borduas, Rothko, Gottlieb, Simpson, Mitchell, Twombly».
Nel 1969 esce da De Donato Autoritratto, libro-convivio, composto dal libero montaggio di brani tratti da colloqui con quattordici artisti, registrati tra il 1962 e il 1969. È l’opera più importante di Lonzi critica ed è uno dei testi più belli e originali sull’arte degli anni Sessanta. Quando decide di porvi termine ha insomma raggiunto maturità e affermazione nell’attività professionale. Tuttavia vive con frustrazione profonda l’inautenticità di una realizzazione di sé affidata all’inserimento nella società maschile. Nel bisogno di trovare altre strade vi è la spinta personale al femminismo. E si stringe quel nesso forte tra biografia e pensiero che è la cifra più autentica del suo pensiero e dei suoi scritti.
La consapevolezza con cui Lonzi avverte il bisogno di alternative non è certo comune allora tra le donne. Potenzialmente di tutte è però la scoperta che l’emancipazione è una promessa mancata. Perché non mette davvero fine al destino tradizionale, ma soprattutto perché nell’uguaglianza o parità con l’uomo una donna non trova risposte esistenziali, politiche e culturali al senso di sé.
Negli anni Settanta tutto il femminismo, come fenomeno mondiale, si cimenta con questo nodo. Rivolta Femminile lo fa con la pratica della presa di parola, sia orale che scritta. Già nel 1970 nasce la casa editrice «Scritti di Rivolta Femminile» che avrà in seguito due collane: i «libretti verdi» ospitano i testi dell’autocoscienza, i «prototipi» quelli di confronto con la cultura maschile. È la prima esperienza in Italia che si misura con l’esigenza dell’autonomia, creando un’impresa, misurandosicon i problemi dei soldi e del mercato, con discreto successo. Nel 1974 esce la raccolta degli scritti di Carla Lonzi e di quelli firmati da Rivolta. E già nel 1975 il libro è tradotto prima in Argentina, poi in Germania.
Sono gli anni di massima espansione del femminismo, contrassegnati anche da importanti avvenimenti: la vittoria del No al referendum sul divorzio, i processi per reato di aborto a Padova e Trento, poi l’irruzione della polizia in una clinica di Firenze. Sull’aborto si hanno le prime, grandi manifestazioni di massa che accendono l’interesse dei media, dei partiti e dell’opinione pubblica. Ma la mobilitazione per l’aborto produce anche un mutamento significativo all’interno del femminismo. Alla proliferazione dei gruppi e alla creazione di una rete di incontri, scambi e comunicazione di esperienze si affiancano, finendo spesso per sostituirsi alle pratiche originali, le modalità più tradizionali dell’iniziativa politica. Dal corteo, appunto, alla rivendicazione della legge, al rapporto, sia pure conflittuale, con le istituzioni.
In questo passaggio dal femminismo al «movimento femminista» Rivolta Femminile non si riconosce. Anzi prende esplicitamente distanza, sia sul merito dei contenuti, in particolare sull’aborto, sia sulle forme politiche. Basta leggere Sessualità femminile e aborto per misurare quanto sia lontano questo approccio dalla richiesta della legalizzazione dell’aborto. Quelle pagine oggi possono aiutare a riflettere su qual è il cambiamento necessario che nessuna legge, nessuna riforma sociale può soddisfare. Un aiuto analogo può venire dalla lettura di Sputiamo su Hegel, rispetto alla crisi, sempre più vistosa, che da tempo investe la politica, il suo linguaggio, le sue regole, le sue organizzazioni.
Nonostante si sia aperta questa divaricazione tra la propria pratica e il movimento femminista Rivolta Femminile non si scioglie, come accade invece a molti gruppi di autocoscienza. Naturalmente vi sono mutamenti e fasi alterne. Alle riunioni settimanali dei diversi gruppi si sostituiscono alcuni incontri allargati di due o tre giorni tra tutte le donne di Rivolta. Spesso hanno luogo a Turicchi, la casa in Toscana di Carla Lonzi e Pietro Consagra. Le riflessioni stimolate da questi incontri vengono raccolte in due volumi a più voci: È già politica (1977) e La presenza del femminismo (1978). Peraltro Rivolta Femminile non si appaga del suo percorso interno, isolandosi dal contesto politico e dal modo in cui vi trova posto il movimento femminista. Cerca un’interlocuzione, prende posizione sulle falsificazioni e semplificazioni, effetto della divulgazione mediatica delle idee e pratiche femministe, a partire da quelle che la coinvolgono. Ma non trova riscontro in un contesto fortemente dominato dalla contrapposizione ideologica e politica tra movimenti e sistema politico. Ne offro solo due esempi.
Nel gennaio 1975 Carla Lonzi invia al Corriere della Sera il testo Sessualità femminile e aborto, in risposta a un articolo di Pier Paolo Pasolini che aveva denunciato la mancata messa in questione, da parte delle femministe, del legame tra eterosessualità, procreazione, aborto. Il giornale non lo pubblica. Lonzi scrive allora una lettera a Pasolini, come gesto di riconoscimento della reciproca differenza, senza ricevere alcuna risposta.
Il 5 febbraio 1978 invia una lettera a L’espresso per confutare la riduzione del femminismo a movimento, la sua filiazione dal Sessantotto e dunque la sua riduzione a costola femminile di ideologie, rivoluzioni e rivolte degli uomini. Viceversa, scrive Lonzi, è malgrado il Sessantotto che le giovani donne del movimento hanno preso coscienza di sé; scardinando parole d’ordine, modi di far politica e miti dei loro compagni. Anche questa lettera non sarà pubblicata. Privilegiando da sempre la comunicazione, Lonzi e Rivolta Femminile, con questi e altri gesti, mostrano di aver ben compreso l’importanza della rappresentazione mediatica. E la necessità di interloquire con chi la produce.

Un anno doloroso

La pubblicazione nel 1979 del diario Taci, anzi parla rappresenta una tappa decisiva. Non è solo un documento prezioso del personale percorso di Lonzi, o una ricostruzione degli eventi diversi che si intrecciano nella complessa vicenda femminista di quegli anni. In quelle pagine si trovano gli interrogativi, gli ostacoli e le scoperte che una donna deve affrontare, dal momento che non si riconosce più in un’identità femminile precostituita. Il 1979 è anche un anno doloroso per Carla Lonzi. Si apre una crisi nel rapporto con Consagra che darà luogo a un periodo di separazione. Lonzi registra il lungo colloquio tra due coscienze e, con il consenso di lui, lo pubblica in Vai pure. Dialogo con Pietro Consagra, dopo che il rapporto è ripreso (1981). È l’ultimo libro dato alle stampe da Lonzi.
In quei mesi torna a manifestarsi il tumore di cui era stata operata nel 1968 a Boston. Carla sta lavorando sul teatro di Molière, in particolare su Le preziose, alla ricerca di situazioni di rapporti tra donne e uomini che possano costituire dei precedenti storici, rispetto all’esperienza di Rivolta. Sebbene sofferente, si sente carica di energia: «ho fatto una mia estate. Ero veramente felice», dice in un’intervista a Quotidiano donna. Rinvia i controlli fino all’ottobre 1981. È operata il 15 dicembre a Zurigo. Dopo una lunga convalescenza, muore a Milano il 2 agosto 1982. Rivolta pubblica postumi, nel 1985, Scacco ragionato. Poesie dal ’58 al ’63, nel 1992 raccoglie in Armande sono io! i materiali su Le preziose.

Conflitti irriducibili

Negli anni ottanta il femminismo vive un secondo passaggio: dall’attore politico collettivo «il movimento» al «femminismo diffuso». Mentre sul terreno più propriamente politico si parla di riflusso, non si arresta, anzi si estende e arricchisce, il cambiamento nelle vite e nelle soggettività femminili. In modi e con scelte spesso molto diverse rispetto a quelle della generazione «storica»di femministe, sono sempre di più le donne che cercano nella consapevolezza di sé una differente misura per le scelte di vita. Insomma il cambiamento avviene con modalità che corrispondono a quelle di Rivolta, molto più di quelle del movimento politico. Seppure con altre pratiche, con la creazione di centri, riviste, case delle donne, collettivi di ricerca e studio, anche la realtà femminista appare meno divergente dall’esperienza del gruppo. Ma né Lonzi né Rivolta sono assunte a diretto riferimento. Probabilmente l’ostacolo è proprio l’immagine costruita dai media sul femminismo anni settanta: quella dei cortei sull’aborto e sulla violenza sessuale, della chiusura nel separatismo, del conflitto irriducibile con gli uomini. Ci vorrà una maggiore distanza perché la parola di Lonzi torni a essere attuale e comunicativa e si rinnovi l’interesse per il suo femminismo, originale e originario. Nel 1990 esce il mio L’io in Rivolta. Vissuto e pensiero di Carla Lonzi, la sola monografia a lei dedicata. Ma è in questi ultimi anni che si è avuto un susseguirsi di studi, convegni, tesi di laurea.
Per sostenere e far crescere questo rinnovato interesse non vi è modo migliore che offrire a un pubblico, crediamo vasto, di lettrici e lettori i suoi testi.

Autore

  • Maria Luisa Boccia è una scrittrice e politica italiana. Biografia Docente universitaria di filosofia politica all'Università di Siena, ha iniziato ad occuparsi di politica nel 1964, militando nel PCI con un particolare interesse per la questione femminile. È la nipote del leader storico della sinistra Pietro Ingrao. È stata fondatrice negli anni settanta della rivista femminista Reti, e di Rosa, Quaderno di studio e di movimento sulla condizione della donna, rivista gestita da un collettivo di donne.